Quasimodo messo alla berlina da un fascista

____________________________

Nel settembre del 1943 Salvatore Quasimodo si trovava a Bergamo per sfuggire ai bombardamenti su Milano.

Qualcuno che, sulle pagine de “La voce repubblicana” (organo di stampa milanese dei repubblichini), si firmava Icaro, ebbe a scrivere, per la rubrica “La colonna infame”, un articolo in cui si riportavano le opinioni antifasciste di Salvatore Quasimodo, mettendole alla berlina assieme a chi le aveva pronunciate*.

L’estensore dell’articolo, infatti, oltre a riferire le opinioni di Quasimodo sul Fascismo, si incaricò anche di fare un ritratto del poeta che, nelle sue intenzioni, non doveva suonare per nulla lusinghiero.

Secondo quanto dichiarato da Alessandro Quasimodo**, Icaro era Enotrio Mastrolonardo (1911 - 1996) che fingeva di essere amico di Salvatore Quasimodo per poterne carpire subdolamente le opinioni, in modo da poter svolgere la sua azione delatoria ai danni del poeta***.
È a lui, sempre stando a quanto dettomi da Alessandro Quasimodo, che Salvatore Quasimodo si riferisce nella poesia Parole a una spia scritta nel 1965 e pubblicata in Dare e avere (Mondadori, 1966).

Vale la pena analizzare l’articolo di Icaro per rendersi conto di come l’antifascismo di Quasimodo fosse pesantemente stigmatizzato.
Icaro sguazza negli stereotipi, specie quando dipinge la figura del poeta-vate di dannunziana memoria, e dimostra di conoscere bene la poesia di Quasimodo, tanto che, nel corso del suo argomentare, cita ben tre poesie**** di Ed è subito sera (Mondadori, 1942), piegando i versi al suo intento denigratorio.
L’articolo, apparso il 4 maggio 1944, si apre così:
Nello scorso settembre, in un pittoresco giardino su un ridente colle bergamasco, il poeta Salvatore Quasimodo, in un atteggiamento ermetico e trascendentale, commentava con sottile ironia e con perfido compiacimento i tragici avvenimenti di quei giorni.
L’incipit ha l’intento di far emergere, con palese stridore, la dimensione bucolica nella quale si muove il poeta con fare «ermetico e trascendentale» (qualsiasi cosa ciò voglia dire), contrapponendola a quanto accaduto in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. 
Secondo Icaro, Quasimodo avrebbe commentato la «capitolazione regia» con «sottile ironia e con perfido compiacimento».
L’aggettivo “perfido” non è - a parere di chi scrive - usato a caso, ma pare, invece, alludere alla “perfidia” che, in quegli anni, era imputata come caratteristica biologica alla razza ebraica e, nell’articolo di Icaro, il riferimento ai giudei torna più di una volta, e sempre in senso spregiativo.
Secondo Icaro, infatti, l’antifascismo di Quasimodo ha un’origine ben determinata:
La nostalgia acuta che gli avevano lasciato la bruna ebrea e le altre donne del ghetto che egli aveva frequentato assieme ai giullari di taverna, era naturale che gli avessero fatto nascere nel cuore un amore sviscerato per gli anglosassoni i cui capi sono tutti giudei, [...]
In altre parole, per Icaro, fascistissimo razzista, il sangue italico di Quasimodo sarebbe stato “inquinato” dai suoi rapporti con donne di religione ebraica, e ciò avrebbe fatto nascere nel poeta sentimenti antifascisti e filo anglosassoni.

«Parlando degli inglesi il pallido poeta era sempre immerso nella sua estasi.» e dagli inglesi - secondo Icaro - Quasimodo si aspettava di ricevere quel lauro che i fascisti gli avevano negato («il Fascismo non aveva voluto farlo neppure Accademico d’Italia.») e «assieme al lauro anche l’oro e a questo pensiero i suoi occhi s’accendevano di visioni stupende». 
Verrebbe da pensare che, per Icaro, oltre che dalla “perfidia”, il sangue del poeta fosse stato infettato anche dall'avarizia che, per i fascisti, era difetto tutto giudeo.
Soltanto quelle razze bastarde e mercenarie <ossia gli anglosassoni> avrebbero potuto soddisfare la sua libidine esotica che gli avevano lasciato nel sangue le compagne della sua giovinezza.
Icaro insiste più volte, dunque, con il tema del sangue di Quasimodo reso impuro dalle frequentazioni giovanili. Frequentazioni che avrebbero anche reso il poeta incline alla libidine.
E l’aggettivo “esotico” torna con insistenza nell’articolo e sempre connotato negativamente. 
Ad esempio, secondo Icaro, quando Quasimodo parlava degli inglesi
[...] dilatava le narici fiutando l’aria come se nella sua acuta sensibilità avvertisse il profumo esotico dei negri, degli indiani, dei canadesi, degli australiani, di tutti i meticci che gli inglesi avevano sbarcato in Italia [...]
Il razzismo di Icaro è palese. 
Non sfugge il riferimento all'acuta sensibilità che, certamente, non è di natura poetica, ma, pare di capire, di natura erotica.
Come se la libidine di Quasimodo potesse essere, in qualche modo, sensibile anche al lato maschile dell’esotico. 
Un’accusa inedita riferita a Quasimodo, ma rivolta abbastanza spesso a quanti non aderivano perfettamente all'ideale del maschio fascista (e il riferimento al pallore pare essere di ciò indicativo) o, peggio, erano apertamente antifascisti.

E, nell'articolo di Icaro, l’antifascismo di Quasimodo è riferito in modo chiaro e netto.
Quasimodo «novello Apollo, accanto alla sua pallida Tersicore» (ossia la sua compagna, la danzatrice Maria Cumani, anch'ella «pallida» come il poeta), sogna la liberazione dal Fascismo e definisce i repubblichini «pagliacci, dei buffoni, camuffatisi da repubblicani per nascondere il loro passato, dei “criminali” che [...]  ora si atteggiavano a martiri dimenticando l’autentico “martirio” inflitto al popolo italiano durante la “ventennale tirannia”.».
Ce n’era davvero abbastanza per desiderare, per il poeta antifascista, un’esecuzione sommaria!

E, se davvero Icaro è la spia di cui parla Quasimodo in Parole a una spia, fatto di cui non si vede perché bisognerebbe dubitare, dato che a rivelarlo è il figlio del poeta, è proprio l’esecuzione sommaria ciò a cui mirava Icaro con il suo articolo contro Quasimodo. 
Infatti, del delatore protagonista della poesia, Quasimodo dice che era solito strisciare «sulla faccia dei tuoi morti, | quelli che s’inchiodavano ai muri | per una tua parola cortese e segreta». 
Un uomo per il quale Quasimodo non nutre alcuna simpatia o compassione, tanto che dopo aver ammonito che «Le spie non possono scrivere versi, | lo sai, né bere vino con gli amici, | né dire parole al cuore di nessuno.», si augura che «Nel Giorno del Giudizio» «la sua larva penzoli | da un filo di ragno nuovamente vivo.».  

Versi di inaudita durezza quelli di Quasimodo, ma assai comprensibili alla luce di quanto si è qui ricostruito. 
  
_________________
* Il ritaglio stampa da me consultato si presenta fotocopiato su foglio A3 assieme a parte della prima pagina de “La voce repubblicana” del 4 maggio 1944. Si presume, quindi, che l’articolo La colonna infame | Salvatore Quasimodo a firma Icaro sia stato pubblicato all'interno di quel numero del giornale.
** Filippo Senatore, Quasimodo, in “Corriere della Sera”, 6 luglio 2016. 
*** Mia conversazione telefonica con Alessandro Quasimodo del 20 gennaio 2018.
**** Icaro cita versi da: La mia giornata paziente; Verde deriva; Anche mi fugge la mia compagnia.

Commenti

Post più visti del mese

Milano, agosto 1943

Orietta Quasimodo

Alla nuova Luna | Nota di Danilo Ruocco