Su richiesta di un lettore, pubblichiamo questa immagine di Salvatore Quasimodo mentre pronuncia il suo discorso durante la cerimonia di consegna del Premio Nobel.
Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. È morta: s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l’usignolo è caduto dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la città è morta, è morta.
Da te un’ombra si scioglie che pare morta la mia se pure al moto oscilla o rompe fresca acqua azzurrina in riva all’Anapo, a cui torno stasera che mi spinse marzo lunare già d’erbe ricco e d’ali. Non solo d’ombra vivo, ché terra e sole e dolce dono d’acqua t’ha fatto nuova ogni fronda, mentr’io mi piego e secco e sul mio viso tocco la tua scorza. Per quanto la poesia faccia parte di Acque e terre e, quindi si situi nel periodo ermetico di Quasimodo, il significato della stessa pare lampante, trattandosi, sostanzialmente, di un testo descrittivo.
Dalla Rocca di Bergamo Alta Hai udito il grido del gallo nell'aria di là dalle murate, oltre le torri gelide d'una luce che ignoravi, grido fulmineo di vita, e stormire di voci dentro le celle, e il richiamo d'uccello della ronda avanti l'alba. E non hai detto parole per te: eri nel cerchio ormai di breve raggio: e tacquero l'antilope e l'airone persi in un soffio di fumo maligno, talismani d'un mondo appena nato. E passava la luna di febbraio aperta sulla terra, ma a te forma nella memoria, accesa al suo silenzio. Anche tu fra i cipressi della Rocca ora vai senza rumore; e qui l'ira si quieta al verde dei giovani morti e la pietà lontana è quasi gioia. Nota La poesia nasce da un dato biografico: Quasimodo fu incarcerato a Bergamo come disertore per non aver risposto a una cartolina precetto (mai ricevuta) di richiamo alle armi. Il manoscritto è datato febbraio-marzo 1943, e il componimento fa parte d
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