Albero

Da te un’ombra si scioglie
che pare morta la mia
se pure al moto oscilla
o rompe fresca acqua azzurrina
in riva all’Anapo, a cui torno stasera
che mi spinse marzo lunare
già d’erbe ricco e d’ali.

Non solo d’ombra vivo,
ché terra e sole e dolce dono d’acqua
t’ha fatto nuova ogni fronda,
mentr’io mi piego e secco
e sul mio viso tocco la tua scorza.


Per quanto la poesia faccia parte di Acque e terre e, quindi si situi nel periodo ermetico di Quasimodo, il significato della stessa pare lampante, trattandosi, sostanzialmente, di un testo descrittivo.
Nella poesia, il poeta si rivolge direttamente all'Albero del titolo e ne descrive l'ombra che se ne distacca e copre quella del poeta stesso, tanto che quest'ultima pare scomparire (morire).
Ovviamente, l'ombra dell'Albero oscilla a causa del vento sulle fronde e si allunga fino a lambire le acque del fiume Anapo presso la riva del quale si trova e dove si è recato il poeta quella sera primaverile di marzo.
Ma l'Albero non è fatto solo dell'ombra che proietta, ma anche della fronda viva e rigogliosa con la quale il poeta si confronta, risultando, al confronto, secco e curvo, oltre che ruvido in viso al pari della scorza del tronco.


Essendo Quasimodo ancora assai giovane al tempo dell’uscita di Acque e terre (nel 1930 aveva, infatti, 29 anni), le proclamate ruvidità del volto e secchezza e incurvatura del fisico inducono a pensare che si tratti di una metafora: un’immagine per alludere ai segni lasciati nell’anima dalle difficili condizioni economiche in cui il poeta viveva.

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